La prima vittima di un robot killer: era il 1979 e oggi stiamo per ripetere lo stesso errore

Il 25 gennaio 1979, Robert Williams divenne la prima persona al mondo uccisa da un robot. Non era fantascienza, non era un film di Hollywood: era la dura realtà di una fabbrica Ford del Michigan, dove un braccio robotico industriale da una tonnellata colpì alla testa un operaio di 25 anni, uccidendolo all’istante. Questa storia, che dovrebbe essere scolpita nella memoria collettiva, è invece quasi dimenticata. Eppure oggi, mentre riempiamo le nostre case di robot aspirapolvere, assistenti vocali e auto a guida autonoma, quella tragedia di 45 anni fa è più attuale che mai.

La morte di Williams non fu un caso isolato. Due anni dopo, nel 1981, l’ingegnere giapponese Kenji Urada perse la vita in circostanze simili mentre faceva manutenzione su un robot della Kawasaki Heavy Industries. Due tragedie che avrebbero dovuto insegnarci tutto quello che c’era da sapere sui rischi dell’automazione. Invece, continuiamo a ripetere gli stessi errori su scala sempre più grande.

Il Primo Omicidio Robotico della Storia

Robert Williams era un operaio come tanti altri alla Ford Motor Company di Flat Rock, Michigan. Aveva una famiglia che lo aspettava a casa e un lavoro che conosceva bene. Quel martedì di gennaio sembrava una giornata normale: il braccio robotico industriale faceva quello che faceva sempre, prelevando parti dagli scaffali del magazzino. Williams si trovava nella zona operativa quando, senza alcun preavviso, il gigante meccanico si mosse inaspettatamente e lo colpì alla testa.

La cosa più assurda? Il robot non aveva un interruttore di emergenza facilmente accessibile. Zero barriere protettive. Niente sensori di movimento. Era come mettere un elefante meccanico in una cristalleria e sperare che tutto andasse bene. La famiglia Williams fece causa alla Litton Industries, l’azienda costruttrice del robot, e vinse. I giudici stabilirono che la progettazione era criminalmente negligente, ma il danno era fatto: il mondo aveva appena scoperto che i robot potevano uccidere.

Quando la Storia si Ripete

Se pensate che la morte di Williams abbia insegnato qualcosa al mondo, preparatevi a rimanere delusi. Due anni dopo, Kenji Urada, un ingegnere giapponese di 37 anni, stava facendo manutenzione su un robot industriale. Aveva disattivato alcuni sistemi di sicurezza per velocizzare il lavoro. Il braccio robotico lo spinse contro una macchina, uccidendolo sul colpo.

Due morti in due anni. Due Paesi diversi. Due aziende diverse. Ma la stessa, identica combinazione letale: tecnologia potente, sicurezza inadeguata, e quella pericolosa tendenza umana a sottovalutare i rischi delle macchine. Questi non erano robot intelligenti che avevano deciso di ribellarsi come nei film. Erano macchine stupide che facevano esattamente quello per cui erano state programmate, ma in un ambiente dove la sicurezza era un ripensamento, non una priorità.

Gli Errori che Continuiamo a Ripetere

Ora potreste pensare che erano gli anni ’70 e ’80, quando la tecnologia era primitiva e noi eravamo meno esperti. Ma la verità è che stiamo facendo esattamente gli stessi errori, solo su scala molto più grande. Quanti di voi hanno un robot aspirapolvere che gira per casa quando non ci siete? Quanti lasciate che i vostri figli giochino vicino al robot da cucina mentre è in funzione? Quanti vi fidate ciecamente del parcheggio automatico della vostra auto?

La differenza con gli anni ’70 è che ora i robot non sono solo nelle fabbriche. Sono nelle nostre case, nelle nostre cucine, nelle nostre auto. E continuiamo a trattarli come giocattoli innocui invece che come macchine potenti che possono causare danni. Nel 2020, in Germania, un robot tosaerba ha ferito gravemente un bambino. Non perché il robot fosse maligno, ma perché qualcuno aveva sottovalutato i rischi di lasciare che un bambino giocasse vicino a una macchina con lame rotanti.

Il Tradimento del Nostro Cervello

C’è un fenomeno che gli scienziati chiamano automation bias, e spiega perfettamente perché continuiamo a fidarci troppo delle macchine. Il nostro cervello è programmato per fidarsi dei sistemi automatizzati, anche quando stanno chiaramente sbagliando. È come quando il navigatore vi dice di girare a destra direttamente dentro un lago, e voi per un momento pensate che forse il GPS sa qualcosa che non sapete.

Il problema è che i robot moderni sono progettati per essere carini e rassicuranti. Il vostro Roomba ha un nome simpatico, emette suoni amichevoli, e generalmente fa il suo lavoro senza problemi. Questo crea una falsa sensazione di sicurezza che può portare a comportamenti rischiosi. Robert Williams probabilmente si era abituato alla presenza del robot. Era lì da mesi, faceva il suo lavoro, sembrava affidabile. Fino al giorno in cui non lo è stato più.

I Rischi Nascosti della Robotica Domestica

I robot domestici moderni presentano rischi che spesso ignoriamo completamente. I robot aspirapolvere possono surriscaldarsi se si incastrano, potenzialmente causando incendi. I robot da cucina possono malfunzionare e ferire chi si trova nelle vicinanze. I robot tosaerba possono confondere un piede per un ciuffo d’erba. Ma il rischio più grande è forse la nostra crescente dipendenza da questi sistemi.

Stiamo delegando sempre più decisioni alle macchine, e ogni volta che lo facciamo, perdiamo un po’ della nostra capacità di supervisionare e intervenire quando qualcosa va storto. Secondo i database della Consumer Product Safety Commission americana, i robot domestici causano ogni anno centinaia di piccoli incidenti. La maggior parte sono graffi e lividi, ma il trend è preoccupante: più robot abbiamo, più incidenti ci sono.

E non parliamo nemmeno dei rischi informatici. Gli esperti di cybersecurity hanno dimostrato che molti robot domestici possono essere hackerati, trasformandoli in spie digitali o in punti di accesso per infiltrarsi nelle nostre reti domestiche.

Le Lezioni che Continuiamo a Ignorare

Gli incidenti di Williams e Urada ci hanno insegnato alcune lezioni fondamentali che sembriamo aver dimenticato. I robot non sono infallibili: possono rompersi, essere hackerati, o comportarsi in modo imprevisto. La sicurezza deve essere la priorità numero uno, non può essere un optional o un ripensamento. La supervisione umana è sempre necessaria, anche con i robot più avanzati.

Serve formazione: le persone devono sapere come interagire in sicurezza con i robot. E i sistemi di emergenza devono essere sempre accessibili: deve sempre esserci un modo rapido e intuitivo per fermare un robot. Questi principi, scritti nel sangue di Robert Williams e Kenji Urada, sono validi oggi come lo erano 40 anni fa.

Come Non Farci Uccidere dai Nostri Robot

Non sto dicendo che dovremmo tornare all’età della pietra e buttare via tutti i nostri robot. L’automazione ha migliorato la nostra vita in modi incredibili. Ma dobbiamo essere più intelligenti nel modo in cui la implementiamo. Prima di tutto, dobbiamo smettere di pensare ai robot come a cuccioli meccanici. Sono macchine potenti che meritano rispetto e cautela.

Quando comprate un robot, leggete il manuale. Sì, è noioso, ma Robert Williams sarebbe ancora vivo se qualcuno avesse letto il manuale di sicurezza. Mantenete sempre un sano scetticismo: se il vostro robot inizia a comportarsi in modo strano, spegnetelo e chiamate l’assistenza. Non cercate di ripararlo da soli come ha fatto Kenji Urada.

Pretendete trasparenza dai produttori. Quando comprate un robot, dovreste sapere esattamente come funziona, quali sono i suoi limiti, e cosa fare in caso di emergenza. Se un’azienda non è trasparente su questi aspetti, forse è meglio comprare altrove.

Il Futuro che Dobbiamo Costruire

La robotica continuerà a evolversi e a entrare sempre più nelle nostre vite. Questo non è né buono né cattivo: è inevitabile. La domanda è se saremo abbastanza intelligenti da imparare dai nostri errori passati. I robot moderni hanno sistemi di sicurezza molto più avanzati di quelli degli anni ’70. Gli standard ISO 10218 per la sicurezza robotica industriale sono stati sviluppati proprio per evitare tragedie come quelle di Williams e Urada.

Ma gli standard sono utili solo se vengono rispettati e applicati. La ricerca sull’interazione uomo-robot ha fatto progressi enormi. Ora sappiamo molto di più su come progettare robot che possano lavorare in sicurezza insieme agli esseri umani. Il problema è che questa conoscenza spesso non arriva ai consumatori finali.

Abbiamo bisogno di un cambio di mentalità. Dobbiamo vedere i robot per quello che sono: strumenti incredibilmente utili ma potenzialmente pericolosi che richiedono rispetto, formazione e supervisione costante.

La Memoria che Non Dobbiamo Perdere

Robert Williams e Kenji Urada sono morti 40 anni fa, ma le loro storie sono più rilevanti che mai. Mentre riempiamo le nostre case di robot e deleghiamo sempre più compiti alle macchine, dobbiamo ricordare che la tecnologia è solo buona quanto la saggezza con cui la usiamo.

La prossima volta che vedete un bambino giocare troppo vicino a un robot, o quando il vostro robot aspirapolvere inizia a fare rumori strani, pensate a Robert Williams. Pensate al fatto che era solo un operaio che stava facendo il suo lavoro, e che è morto perché qualcuno ha pensato che la sicurezza fosse meno importante del profitto.

Non dobbiamo avere paura dei robot, ma dobbiamo rispettarli. E soprattutto, dobbiamo ricordare che la storia ha la brutta abitudine di ripetersi quando non prestiamo attenzione alle sue lezioni più importanti. Perché alla fine, la differenza tra un robot utile e un robot pericoloso non sta nella macchina. Sta in noi, e in quanto siamo disposti a imparare dai nostri errori prima che sia troppo tardi.

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